Giovanni Cavazzon
Testi critici


MARIO GUDERZO
ABITARE IL MONDO: riflessioni sulla pittura di Giovanni Cavazzon
(prefazione alla monografia di L.Damiani, Romanticismo, eros, spiritualità
nella pittura di Giovanni Cavazzon
, Edizioni d’Arte Ghelfi, Verona, 2007)

L’arte - afferma Arturo Martini - è la cosa più facile di questo mondo (…), è un’operazione naturale (…) averla in testa non significa niente. L’artista è un operaio. Non ha qualità particolari a sua disposizione se non questo suo sacco poetico: quando ci mette le mani, tira fuori (…). L’originalità per l’artista è la più tremenda delle prigioni (…). Io che conosco il fatto della creazione, mi metto in un angolo, mi siedo, come il gatto che aspetta il topo (…). Bisogna sempre aspettare che l’opera d'arte sia in un momento di distrazione (…). Siccome ogni cosa che nasce cerca di nascondersi per non essere scoperta (…). E allora lì comincia la tua lotta e la tua finzione. [E’ come il gatto, fai l’indifferente, cerchi di prenderlo e lui fugge. Ti siedi ed ecco all’improvviso si siede sulle tue ginocchia… Questa è l’opera d’arte: allora la puoi accarezzare, e anche strangolare, è tua.]. Così si definisce l’ispirazione.
Entrare in relazione diretta, quasi fondersi con la materia per viverla come propria e darle animo, è ciò che Giovanni Cavazzon intende compiere con le sue opere. Egli è fortemente convinto che l’espressione artistica, carica di creatività, sia la prospettiva più completa dell’uomo, perché, grazie ad essa, ognuno ha l’opportunità di fruire della dimensione più autentica e completa del reale nonché di tutti i suoi molteplici aspetti.
L’artista, quindi, mira a plasmare una forza viva che si compendia con la materia e con il modo stesso con cui i sensi veicolano la realtà. La necessità di cogliere questa dimensione porta Giovanni Cavazzon ad avvertire che dalla materia noi siamo condizionati, resi preda anche dei sensi e di ciò che essi indicano. Ma la tensione dell’artista non si ferma in questa direzione, procede oltre. Il senso, infatti, parla all’uomo un linguaggio arcano, ma solo quando l’uomo costruisce questo rapporto con il reale, gli dà, come si dice, forma, proprio allora il rapporto tra l’interiorità, la forza vitale,  l’esteriorità e la materia, si completa e consente una compenetrazione, una fusione totale.
 L’opera d’arte si costruisce senza concetti che pretendono di definirla e parla un linguaggio teso a rendere evidente il mistero che è in ognuno di noi, facendo sgorgare una sorgente di idee e procedendo verso quella “contemplazione ragionante”, il fine ultimo della ricerca artistica, che non si ferma alla sola sensazione. Cogliere la finalità di un’opera artistica significa, quindi, tentare di dare comunicabilità alle facoltà dell’animo in modo preciso, ma spontaneo, e consente una piena espressione artistica anche per chi contempla l’opera.
Ecco perché Cavazzon si dedica a “far abitare le sue tele da ancestrali figure che emergono e vivono lo spazio dove sono immerse”. Espressioni artistiche che, attraverso il colore e lo spazio, creano magiche atmosfere, rinviano ad interpretazioni di figurazioni scultoree. Quest’arte, a cui viene affidata la trasmissione della sua poetica visione, è la prima forma di arte “bella” che non costruisce una realtà virtuale, ma rappresenta una forma e coglie l’attimo pieno di vita. Gli artisti migliori della generazione attuale hanno imparato a non lasciarsi più guidare la mano da virtuosismi, ma interpretare la realtà con chiarezza assoluta. Proprio i sentimenti dell’uomo più puri si manifestano con forza e sono in grado di provocare visioni impressionanti, quasi “metafisiche”, volti ad affrontare direttamente la tenace tempra della materia e del colore, pur di ritrovare, nel segno e nella pennellata, le ragioni di una verità plastica più legittima di quella naturale. Essi hanno compreso come le fasi per le quali l’artista deve passare, dal momento in cui concepisce l’opera sino a quello in cui le dà l’ultimo tocco, siano le stesse percorse dai grandi maestri del passato.
Come allora l’opera non può essere realizzata “di getto”, sotto l’impeto di una sensazione o commozione momentanea; essa richiede un lungo e tenace lavoro, irto di difficoltà che bisogna superare una ad una, calcolandone la successione e la rispondenza. Siamo di fronte ad una svolta, come si percepisce: la pittura contemporanea non è più, o meglio, non è solo, rappresentazione e illustrazione verosimile, in particolare della figura umana, ma soprattutto creazione di forme, strettamente connaturata al “fare”, alla tecnica ed ai materiali. Il passaggio non è indolore e non è indenne da crisi profonde. Probabilmente sta nell’animo dell’artista contemporaneo il vedere la pittura liberata dagli ideali antichi, magari altissimi, come i canoni della bellezza ideale ed il naturalismo, ma non più attuali, per arrivare ad essere completamente autonoma e bastare a se stessa.
Ora è necessario trovare un’alternativa alla rappresentazione del concetto di “arte” che dall’antichità in poi non si è modificata nella sostanza, in quanto l’arte con funzione religiosa, celebrativa o decorativa, è rimasta sempre e comunque antropomorfa o, in minor parte, zoomorfa, o simbolica ed idealizzata, quindi, semplificata rispetto al vero, a seconda delle epoche e del valore assegnatole. Arturo Martini sosteneva che è fondamentale sentirsi liberati da ogni vincolo e passare allo stato di indipendenza, allora soltanto anche “alla pittura sarà aperta la porta alla libertà di ogni soggetto e uscirà dalla deprimente prigione della ‘figura’, ancor oggi unica sua risorsa per entrare nel mondo di tutta la natura”. E ancora: “fonte d’estasi oggi un limone come una Venere. L’opera non si giudica più dal soggetto, né si misura secondo la maggiore o minore aderenza alla realtà. Si vuole e si gode la poesia per la poesia, la musica per la musica, la pittura per la pittura”.
Questo vuol dire che se l’arte fosse veramente autonoma, nella sua essenza, rispetto al valore di ciò che riproduce, non ci sarebbe alcuna differenza tra una Venere dipinta e un limone scolpito, indipendentemente dalle loro dimensioni. Invece, le leggi della vecchia concezione dell’arte fanno sì che il limone ci appaia assolutamente fuorviante, quasi ridicolo, poiché povero di significato, rispetto alla bellezza ed alla nobiltà di una Venere. Sa bene Giovanni Cavazzon che chi fa questo tipo di lavoro si lega a ciò che gli succede intorno o per assonanza o per contraddizione. Nessuna opera è mai nata dall’indifferenza. Oggi possiamo dire che la sua opera esprime momenti diversi, utilizzando immagini che sono il frutto di una costante ricerca. Il rapporto è vissuto intensamente nella corrispondenza interiore con il realizzarsi di una pittura nella quale domina una rappresentazione simbolica non solo di bellezza e sensualità, ma anche di dolore e tristezza.
Emerge un uomo di grande sensibilità, artista dotato di una perfetta padronanza del “mestiere”, in particolare, di quello della ideazione. La sua non è una pittura “da camera”, quanto piuttosto di più ampi confini, all’interno dei quali domina il tema dello sviluppo simbolico della figura nello spazio, la sperimentazione sul movimento, l’emotività del gesto ed i suoi valori che sono i termini guida del suo operare. Un’attività felicemente espressa, soprattutto in un campo in cui egli esplica una pratica del fare rigorosa e diversificata, ma che pure presuppone una profonda sensibilità verso le forme. Il contributo più originale emerge nel momento in cui è in grado di esplicitare con sicura incidenza la propria poetica.
La sua opera è il risultato di una cultura e di una sensibilità artistica che hanno radicati legami con questa realtà e che si trasmette per trame sottili. Non c’è volontà di mistificazione, la singolare vicenda del suo “comporre” nella pittura riflette un artista completo e versatile, di forte personalità, il cui impeto creativo pare ora accrescersi nel dare vita a figure fortemente contrastanti, dietro alle quali si cela l’esaltazione di valori morali, quali il coraggio, l’amore, ma anche il dolore e la disperazione. La ricerca di Cavazzon rivendica il diritto alla totale indipendenza creativa per svilupparsi in modo libero e autentico, lontana da toni trionfalistici e tesa al confronto. La completezza della rappresentazione, il verso dell’immagine, l’opera paziente e vigile del pennello sono elementi fondamentali della sua pittura, che vedono impegnati la volontà, il ragionamento, la preparazione tecnica ed una felice congiuntura di motivi intellettuali e sentimentali propri dell’artista.


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