Giovanni Cavazzon
Testi critici

PAOLA BELTRAME

Nelle liriche e nei dipinti di Stefania e Giovanni Cavazzon. - Ventun ritratti al femminile.
Stefania e Giovanni Cavazzon, fratelli d’arte: lui sensibile ritrattista udinese, lei poetessa delicata e forte. Sta a Parma. Si sono incontrati nelle pagine a fronte, in un libro (Sorelle mie) dove ventun liriche di Stefania dedicate ad altrettanti personaggi femminili (un’appendice storica ne indica le linee essenziali) sono “ritratte” dal fratello. Un incontro annunciato: che Giovanni sia sempre stato affascinato dalla figura femminile non è una novità: ha ritratto donne famose come la Borboni o Dalila, ed è il suo drappo che ha accompagnato Paliodonna. “Parola e icone si confrontano in un dialogo, segnato da improvvise tangenze, da comuni intuizioni – scrive nella prefazione al libro Vanja Strukelj – un dialogo che, al di là della differenza dei modi e degli strumenti del comunicare, trova giustificazione nel desiderio di racconto dei due fratelli”.
Ancora. “Il disegno cerca di seguire la poesia nella segreta alchimia della parola”, afferma il critico, rifacendosi alla tecnica, comune a versi e disegni, a evidenziare alcuni elementi significanti che poi scompaiono in una magica metamorfosi. Sono la bocca, le mani, il volto, un oggetto, un’ombra, un simbolo nei ritratti di Giovanni; è un’immagine, un ricordo, un momento della vita o – più spesso – della morte, che Stefania coglie nelle sue ventun donne.
Donne non qualsiasi, anzi a dir il vero eccezionali: vittime eroiche come Anna Frank o feroci assassine come Leonarda Cianciulli che saponificò le pretendenti al figlio; figure storiche arcinote del passato e del mondo attuale, da Cleopatra alla Monroe “dalle aliciglia di visone”, a perle sconosciute della storia, tale Ipazia d’Alessandria, filosofa fatta a pezzi dai seguaci di una dottrina avversaria.
Donne forti e tragiche, la Petacci (“utero tondo / cassato dal revolver”), la brigatista Margherita Cagol (“quel volo / dentro la morte armata”); ma anche figure della tradizione, viste in gustosa ironia, come Cenerentola, che manda a quel paese le pubbliche mondanità e se ne sta a casa a sognare presso il camino, o la Bella Addormentata che preferisce non essere baciata dal principe e continuare a dormire l’eterna giovinezza.
E Giovanni, “Principe / talmente esperto / da non osare più baciarla”, attraverso la magia dei suoi tratteggi apre la porta a questo sogno vero, dove la donna non è più eterna Addormentata da una cultura che la domina e la uccide. La sua matita non teme, come la parola di Stefania si muove libera di creare, di infrangere “questo monolito / muta trama di sottraendi / sortilegio / senza corpo / senza nome” che è l’inscalfibile cardine del mondo maschile.

PAOLA BELTRAME
Cavalli con gli occhi dolci fra i ritratti di Cavazzon – Viaggio al di là della donna.

Donne e cavalli: la fierezza, la dolcezza, la forza elegante. Per il “Paliodonna” alle porte a Udine, Giovanni Cavazzon, pittore della donna e sensibile ritrattista, prepara una sorpresa. L’artista a cui si deve lo “stendardo” che vale appunto come palio della vittoria (serena nudità della donna, sinuosità composta dal cavallo: chiome, criniera, coda al vento), il ritrattista che ha stregato e si è fatto stregare da donne famose, dalla Borboni a Dalila Di Lazzaro, poteva non cedere al fascino di questo appuntamento? E così dal 25 agosto all’11 settembre la Basilica delle Grazie ospita una mostra con quadri suoi e del pittore senese del Palio, Luigi Cannelli.
Ma c’è dell’altro ancora. Elisa Gagliardi Mangilli, nobile e parente di campioni di questo bellissimo sport, bella e brava quanto basta, sarà infatti al centro di un’opera di Cavazzon ancora dedicata a “Paliodonna”. Al centro davvero, nel senso che il ritratto della capitana apparirà in mezzo ai ritratti di splendidi cavalli. Ritratti, proprio così. Ciascun cavallo con una sua psicologia. Occhi dolci, occhi fiduciosi, intelligentemente docili e fieri. Soprattutto gli occhi. Nei ritratti di Cavazzon non “mancano”, non sfuggono: c’è un rapporto autentico con la persona. Li abbiamo visti recentemente ai Colonos di Villacaccia, in una rapida mostra organizzata da Artesegno. Occhi sereni, anche nella vecchiaia, in una galleria di quadri raffiguranti la madre dell’artista, la Borboni, Gastone Moschin.
Sono ritratti “non-ritratti”, perché evitano la fissità nel tempo e nello spazio. Suggeriscono anziché dire il contesto (Cavazzon non per niente viene dalla scenografia teatrale). Doppi, molto spesso, tra il sorriso e la pensosità di un bambino, il broncio e l’allegria; la realtà e la sua ombra. Gioco del cartone animato. Doppi, mai ambigui. Anzi. Più autentici, anche nella ricerca di movimento.
Serenità e affettuosa ironia. Anche autoironia, nell’ingombrante “timbro” che campeggia su ogni ritratto (“Giovanni Cavazzon Artefix”). Un dispetto alle committenze scomode, alla critica pretenziosa? Se dispetto è, davvero è piccolo. In Cavazzon prevale l’amore.


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